He Died with a Felafel in His Hand Australia-Italia 2001 107’
di Richard Lowenstein
con Noah Taylor, Emily Hamilton, Romane Bohringer, Alex Menglet, Brett Stewart, Torqui Nelson, Sophie Lee
Un personaggio del film muore mangiando un felafel, la celebre polpetta mediorientale. È un episodio tragico in un impasto continuo di situazioni assurde e grottesche. Articolato in capitoli con tanto di didascalia introduttiva, E morì con un felafel in mano mette in scena le migrazioni di Danny (Noah Taylor), nevrotico aspirante scrittore sulla trentina, fra Brisbane, Melbourne e Sydney; le sue coabitazioni con individui regolarmente schizzati, la difficile relazione con l’amica/amante Sam (Emily Hamilton), gli incontri con profetesse dark (Romane Bohringer), neonazisti, poliziotti dal grilletto facile. Completamente alla deriva, Danny cerca di mettere assieme i frammenti della propria esperienza prima di cedere completamente al crollo nervoso; compito improbo, poiché l’assunto del film si può sintetizzare nel celebre aforisma sartriano “l’inferno sono gli altri”. La struttura narrativa è praticamente virtuale, mentre i personaggi entrano e escono di scena ciascuno con la propria eccentricità e le proprie ossessioni. Le città australiane sono rappresentate in maniera altrettanto estrema, fra la parodia della metropoli alla Miami Vice, l’angoscia kafkiana, la miseria materiale e morale, la pioggia che non concede tregua. Malgrado ciò, non mancano i momenti divertenti; anche se, sotto, serpeggia sempre un senso di atroce pessimismo. La bizzarria, si diceva, è il carattere dominante del film di Lowenstein. Anche se a tratti si smarrisce fra citazioni cinefile e omaggi incongrui a Jean-Luc Godard, E morì con un felafel in mano potrebbe diventare un filmcaso, perché racconta la disperazione, la perdita della rotta di una generazione che ricorda molto quella di un film come Trainspotting o quella anche se più piccola d’età di un film come L’odio.
la Repubblica, Roberto Nepoti