Nuvole in viaggio – 30.04.04
Kauas pilvet karkaavat
di Aki Kaurismäki
con Kati Outinen, Kari Väänänen, Elina Salo, Sakari Kuosmanen, Markku Peltola
Finlandia-Germ.-Francia 1996 96’
Con “Kauas Pilvet Karkaavat” (Le nuvole se ne vanno lontano, verso d’una canzone sentimentale), Kaurismaki ha fatto un film bello, asciutto, semplice e denso, benissimo recitato da Kati Outinen e Kari Vaananen, sullo stesso tema di “The Van-Due sulla strada” di Frears e d’altri film del festival: la disoccupazione, problema cruciale di fine secolo e minaccia totale del Duemila, smentita di un altro valore delle nostre società, quello del lavoro, il più essenziale perché legato alla sopravvivenza fisica oltre che all’identità. La musica elegante e dolce suonata da un pianista nero in smoking (è il cognato del regista, vive con la sorella di lui in Svizzera) introduce la vicenda di una coppia, lui conduttore di tram, lei direttrice di sala nel ristorante “Dubrovnik”, comuni consumisti che stanno ancora pagando a rate il televisore, il divano e la libreria, coniugi laconici che si parlano poco. L’azienda tranviaria riduce le linee, il ristorante chiude, si trovano di colpo tutt’e due senza lavoro e senza salario, non sono più giovani, cominciano il percorso disperante della disoccupazione: i tentativi falliti di trovare un posto, il lavoro nero per un mascalzone che non paga, le sbronze di autoannullamento, le parole incrociate ai giardinetti, l’inutile ufficio di collocamento, le agenzie che vogliono soldi soltanto per dare nome e indirizzo d’un ipotetico datore di lavoro, le rate non pagate e il sequestro dei mobili, gli incontri tristi con altri disoccupati, la vendita dell’automobile, il riscatto dell’assicurazione sulla vita, il gioco d’azzardo rovinoso, le banche tirchie. Alla fine decidono tra mille difficoltà di darsi al commercio. Il ristorante “Il lavoro”, messo su con gli ex colleghi, è un successo. La conclusione è ottimista, il finale lieto: “In Finlandia e nel mondo la disoccupazione e i suoi effetti soprattutto psicologici sono talmente spaventosi, che in questo momento un film sull’argomento non può avere altro obiettivo che informare di più e dare un po’ di speranza”, spiega il regista secondo il quale “non intervenire su una simile catastrofe per il cinema sarebbe una vergogna”. Kaurismaki dice di richiamarsi a Frank Capra e a Vittorio De Sica di “Ladri di biciclette”, ma è personalissimo il suo stile raffinato fatto di realismo stilizzato, luci teatrali, ellissi, essenzialità brechtiana: nella sua apparente semplicità il film va molto nel profondo, è straordinariamente toccante.
La Stampa (17/5/1996) Lietta Tornabuoni
Posta celere – 16.04.04
Budbringeren
di Pal Sletaune
con Robert Skaerstad, Andrine Saetner, Per Egil Aske, Anne Linnestad
Norvegia 1997 83’
Postino di Oslo – fannullone, maligno, bugiardo, curioso come una biscia – s’introduce abusivamente nell’appartamento di una ragazza, la salva dal suicidio e si trova impigliato in un fatto criminoso. Tragicommedia in tinte nere, con forti venature di grottesco, che ha come tela di fondo una Oslo sordida e sciamannata e scarroccia tra un tono e l’altro con calcolato sarcasmo ironico. 1° premio della Semaine de la Critique di Cannes. Opera prima.
Il Morandini 2004
Marius e Jeanette – 02.04.04
Marius et Jeannette: Un conte de l’Estaque
di Robert Guédiguian
con Ariane Ascaride, Gérard Meylan, , Pascale Roberts, Jacques Boudet
Francia 1997 102’
«Si tratta di non girare nulla che non nasca direttamente dal cuore», scriveva Jean Renoir nel ‘36 a proposito del fiammeggianate cinema del Fronte Popolare. I sapori, i cortili e la solidarietà di quegli anni la ritroviamo in Guédiguian. Aggiornati e resi attuali da un autore appartato, un Ken Loach mediterraneo che dal 1980 a oggi ha girato sette piccoli film. Scegliendo di essere un marginale, di raccontare piccole storie del suo quartiere e di lavorare con gli amici d’infanzia, perché Marsiglia è il suo linguaggio. La vita quotidiana dell’Estaque è la vera protagonista del film e i personaggi sono persone reali. Il cortile su cui si affaccia la casa di Jeannette diviene il fulcro drammaturgico dell’azione: è lì che la vita scorre fra discussioni politico-esistenziali. I vicini di casa intervengono anche per rimettere insieme Marius e Jeannette, perché: «Non è il destino di nessuno essere infelice». Nemmeno di questi quarantenni cui è capitato di tutto e ogni progetto pare precluso. Eppure strappano l’amore con i denti. Lei terribilmente rassegnata: «Mi sembrava che il freddo entrasse dentro i sogni», dopo aver visto morire il padre al cementificio e aver perso l’uomo sotto un’impalcatura. Lui che pur di lavorare si finge zoppo e rimpiange moglie e figli morti in un incidente. Partendo da questa plumbea base il film avrebbe potuto precipitarci in un dramma (fuori tempo) da socialismo reale. Invece il “clima” è lieve e gioioso, si ride spesso e si rimane sedotti dalla voglia di vivere e dalla dignità che accompagna gli abitanti dell’Estaque. Abbiamo ritrovato anche echi dell’occhio pasoliniano nello sguardo di questo regista, franco narratore di storie comuni, di vite di quotidianità faticosa e precaria. Per intenderci, siamo agli antipodi di “Ovosodo”. Quella era un’operazione scaltra, studiata a tavolino, con il quartiere riempito di simpatici e innocui bozzetti e un bella patina di malinconia a ricoprire il tutto. Questa miscela disincanto e romanticismo, con una sceneggiatura (scritta dallo stesso Robert Guédiguian in collaborazione con Jean-Louis Milesi) che sta a metà strada fra una canzone di Jannacci e un saggio di sociologia. Senza prendersi mai troppo sul serio. “Come dice Céline: non ho più nessuna musica nel cuore per far danzare la vita” – annuncia ispirato l’ntelletuale del gruppo. “Céline chi? Mia cognata?” gli risponde il ruvido proletario.
Duel (1/3/1998) Massimo Rota