Italia 1970 103’
di: Sergio Citti
con: Franco Citti, Laurent Terzieff, Anita Sanders, Ninetto Davoli, Lamberto Maggiorani
Quello di Ostia è un caso. Ma si sa che anche i casi hanno le loro patenti, il loro codice: la possibilità di essere riconosciutie catalogati come casi. Ciò non avviene per il caso del regista Sergio Citti. Finora che un regista venisse direttamente a un mondo popolare non operaio, non era mai accaduto: quindi si tratta di un caso anche rispetto ai casi. E vero, si sono avuti dei sottoproletari-piccolo borghesi che hanno scritto libri o dipinto: ma per essi la catalogazione era pronta: erano dei «naif». Dichiarando «naif» un dilettante, dotato di talento, e proveniente da una cultura non borghese, tutto va a posto: compresa la coscienza (per sua natura razzista) dei professionisti borghesi. Invece no: Sergio Cittì non è un «natf». Qualche critico ha azzardato a dire che Ostia è un po’ un ex voto: ma l’ha detto a mezza voce, senza convinzione.
C’è nel film l’oleografia di un Diavolo-pipistrello che porta sul suo groppone una ragazza bionda che sta lì a fare da spia e Sergio Cittì era ben cosciente di rappresentare almeno uno dei suoi personaggi (la Donna-demonio) come un personaggio da ex voto. E questo elemento «voluto», di carattere manieristico popolare, si inserisce, contaminandosi, con il realismo degli altri personaggi (i due fratelli e i loro amici). È questa contaminazione che è indefinibile. E fa sì che Ostia sia un’affabulazione nata da esperienze profonde e atroci dell’Autore (anche autobiografiche: come l’episodio della pecora Rosina), e da una sua volontà «demoniaca» di liberarsene attraverso l’ironia: che non potendo essere di qualità borghese non ottiene gli effetti che di solito l’ironia ottiene. Infatti le psicologie dei personaggi e il loro rapporto con l’ambiente sono tutte perfette, e prive di deformazioni. L’unica deformazione è quella metafisica del Maligno: che contamina dunque la forma del film, non il suo spirito. Ma, ancora una volta, i caratteri non sono quelli consueti della deformazione metafisica: perché Sergio Cittì non è un borghese spiritualista. Egli non crede in niente. La demonicità della donna è una sua ossessione privata che non ha doppifondi spiritualistici o religiosi: resta inerte e ontologica. Sergio Cittì, non è dunque un «naif» perché è del tutto cosciente della sua operazione formale: tuttavia porta da un mondo sottoproletario, imparlabile dalla cultura borghese, alcuni lacerti di sentimenti allo stato puro: e cioè getta sulla sua opera una luce sconosciuta di mistero non cercato: e dà nel tempo stesso all’opera una completezza e un’esaustività di quel certo reale che vuole esprimere – come ben raramente succede anche nei migliori film di autore. Pier Paolo Pasolini, da Un film di Sergio Citti, «Ostia», Garzanti Milano 1970
Commenti disabilitati su Ostia – 30.01.2009 ore 20.30
domenica 18 Gennaio 2009, 15:24
Filed under: Iniziative
Vi invitiamo tutti a partecipare giovedì 22 gennaio alla presentazione del libro/DVD “Avanti Pop – I diari del camioncino” che si terrà presso il centro giovani di Monfalcone organizzata dall’associazione Carico Sospeso: sarà presente Andrea Satta dei Tetes de Bois… non mancate!
Liberamente tratto da Ragazzi di vita di Pasolini, autore qui della sceneggiatura, La notte brava di Bolognini mette in mostra le bellezze e la disperazione di una Roma notturna e silenziosa, abitata da errabondi spettri miseramente in cerca di una vita da “vivere”. Bramosia che, inevitabilmente, li farà sfiorare, li ingannerà per qualche ora – giusto il tempo di una notte – ma finirà per renderli, ancora una volta, tremendamente soli. Uno spaccato dolente e insieme raffinato, splendidamente fotografato dalle luci di Armando Nannuzzi e adagiato sulle musiche di Piero Piccioni. Considerato da più parti il lavoro migliore del regista pistoiese.
…Ed ecco appare Sergio Citti, che già aveva aiutato Pasolini a scrivere la sceneggiatura, e che Bolognini vuole al suo fianco per tutto il film come assistente ai dialoghi e location manager; la produzione gli corrisponde 15000 lire come settimanale, Sergio colma dei buchi di sceneggiatura… Tornando a Citti, si può affermare che collabora su un set cinematografico per la prima volta, comparendo anche in una scena, riconoscibile tra gli avventori di un bar… www.zabriskiepoint.net / Gaetano Gentile, www.frameonlin
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Da «Accattone» a «Vipera»: il cinema scellerato di Sergio Citti di Gaetano Gentile
La prima cosa che viene in mente quando si sente nominare Citti, oltre alla ormai proverbiale confusione tra Sergio (regista) e Franco (attore), è Pasolini. Ciò ha un suo fondamento, ma non è tutto.
Certo è il fatto che Sergio Citti è stato praticamente coautore di Ragazzi di vita e Una vita violenta, i romanzi che fecero esplodere il caso letterario Pasolini alla fine degli anni ’50, che ha avuto una parte fondamentale nella scrittura e nella realizzazione di Accattone, un film ormai oggetto di studio in tutte le cineteche, e che ha collaborato in vari modi a quasi tutta la filmografia di Pasolini.
Insomma, in un excursus che va da Ragazzi di vita a Salò, il nome di Sergio Citti è legato a quello dell’intellettuale friulano, che seppe attingere a piene mani da quello che definiva, un po’ riduttivamente, il suo “vivente lessico romanesco”, e a cui lo legava una profonda amicizia. Così Pasolini diceva di Citti:
Pongo Sergio tra Sandro Penna e Moravia. A Sandro Penna egli assomiglia per la totale e quasi santa libertà, l’anarchia assolutamente priva di aggressività, così naturale da non opporsi in alcun modo allo stato di vita degli altri (tutti schiavi!) come alternativa: a Sergio non salterebbe mai in mente di pretendere di offrirsi come esempio o di fare l’apostolato (ch’è sempre terroristico) della sua anarchia. A Moravia egli assomiglia per la rapidità dell’intelligenza e il pessimismo.
Sarebbe interessante approfondire la simbiosi-interazione tra Pasolini e Citti, ossia tra due culture opposte (borghese e proletaria, “scritta” e “orale”, egemone e subalterna) ma convergenti, che si completano l’una con l’altra. E, invece di sbarazzarsi di Citti con l’appellativo “pasoliniano”, valutare quanto cittiano sia stato Pasolini.
A ribadire l’autonomia del Citti autore, ci sono una serie di film, ognuno straordinario per motivi diversi, non inscrivibili a nessun genere, se non a quello personalissimo frutto della sua visione della vita grottesca e disincantata. A partire dall’esordio di Ostia (1970), storia di un amore fraterno insidiato da una donna-demone che Lino Miccichè definisce uno dei migliori esordi postsessantotteschi, a Storie scellerate (1973), intreccio di amori, castrazioni e morte nella Roma papalina raccontato da due condannati a morte (secondo Marco Giusti “bellissimo, ma così violento e scatenato che è difficile non considerarlo un film maledetto”), a Casotto (1977), che vince la sfida di un film tragicomico senza storia, girato tutto in un ambiente – un casotto di una spiaggia appunto – un kammerspiel balneare che è ormai un film culto, nuovo a ogni visione, come Febbre da cavallo (Steno, 1976) o Morire gratis (S. Franchina, 1968), di quelli attorno ai quali si organizzano serate di amici, a Duepezzidipane (1979), nostalgia dei tempi andati in un confronto amarissimo tra anni Cinquanta e Settanta, attraverso la vicenda di un figlio con due padri, risolta con un personalissimo uso della musica diegetica, a Il minestrone (1981), un viaggio collettivo dietro un’atavica fame, ai tredici telefilm della serie Sogni e bisogni (1983), orchestrati da Destino, Padreterno e Demonio, di cui cito almeno lo straniante-stralunato-struggente Verdeluna, a Mortacci (1989), sulla vita ambientata in un allegro cimitero, a I magi randagi (1997), toccante realizzazione del Porno-Teo-kolossal scritto anni prima con Pasolini, a Cartoni Animati (1998), triste apologo sui poveri impoveriti dal possesso, fino a Vipera, uscito solo a Roma, in un circuito alternativo.