John Schlesinger, un regista “da marciapiede” venerdì 14 aprile 2023 ore 20.45
lunedì 27 Marzo 2023, 11:17
Filed under: Cinemapiù 40,Video

UN UOMO DA MARCIAPIEDE
Midnight Cowboy
di John Schlesinger
con Jon Voight, Brenda Vaccaro, Dustin Hoffman, Sylvia Miles, Bob Balaban, John McGiver 
USA 1969 113

Uno schermo bianco di un drive in, il suono di una battaglia in lontananza, lo scalpitio dei cavalli seguito da alcuni spari, l’eco di un film western rievocato dal movimento altalenante di un cavallo a dondolo. L’incipit di Midnight Cowboy, brutalmente tradotto in Un uomo da marciapiede, potrebbe anche essere uno dei numerosi flashback dell’infanzia di Joe Buck (Jon Voight), giovane aitante che sogna una New York accogliente e ricca di opportunità, tappa obbligata per dare una svolta alla propria vita lasciandosi alle spalle un deprimente futuro da lavapiatti.
Il protagonista del film di John Schlesinger indossati i panni di un vero cowboy, prende la valigia pezzata e sale sul pullman che lo condurrà verso la metropoli, quello del gigolò sembra essere un buon mestiere, immagina ricche donne sole e benestanti, ma l’abbigliamento folcloristico attrae soprattutto una clientela maschile. L’aria stravagante di Joe si nutre dei miti di John Wayne e Paul Newman, è quello spaccone, The Hustler del film, appeso a fianco dello specchio, a suggerirgli la camminata decisa e l’espressione audace.

Inizialmente le giornate newyorkesi non sembrano promettere cospicui guadagni, sguardi femminili freddi e poco incoraggianti costringono Joe ad affrontare la solitudine sintonizzandosi sulle frequenze dell’inseparabile radiolina portatile in cerca di voci amiche, un accompagnamento sonoro che ricorda le performance di John Cage e che lo distoglie da una realtà rivelatasi ben presto ostile e pericolosa.
L’incontro con Ratso, Enrico Salvatore Rizzo (Dustin Hoffman), un diverso hustler, il regista sembra giocare con i molteplici significati del termine, in pessime condizioni fisiche, diventa per Joe fonte di complicità e conforto. Entrambi vivono seguendo le proprie utopie, ma Ratso, ormai vinto dalla malattia, riversa le poche energie rimastegli pianificando una miracolosa guarigione sulle spiagge della Florida, la sua arrendevolezza viene contrastata da Joe che, nonostante le condizioni avverse, continua a vivere covando il sogno di una meritata autonomia.
L’incognita x sembra essere l’unico segno di distinzione per queste esistenze sull’orlo del precipizio; la x indica le finestre sprangate dell’edificio in cui trovano riparo ed è per Ratso una severa epigrafe immaginata sulla tomba del padre analfabeta, l’unica possibile firma e traccia che può lasciare un uomo ignorato dalla società che ha condotto una vita di stenti come la sua. La sola opportunità offerta dalla Grande Mela, sembra dire Schlesinger, sono i 15 minuti di celebrità warholiani, tutto si riduce nella grottesca comparsa televisiva di un cagnolino travestito e della sua padrona, voler apparire a tutti i costi risulta essere la via d’uscita dall’anonimato e Joe viene coinvolto suo malgrado proprio da Viva, un’icona della Factory, che dopo avergli scattato la rituale polaroid lo invita a un party; “Join us at the gates of hell”, riporta il volantino.
Midnight Cowboy è il primo film di Schlesinger realizzato in America; Andy Warhol entra nella vicenda non solo attraverso la presenza dei suoi collaboratori, Viva affiancata da Ultra Violet e Paul Morrissey, ma è la stessa scelta del soggetto ad essere influenzata da alcune pellicole del regista di My Hustler Lonesome Cowboys, sono questi i due titoli che meglio si riflettono nel ruolo interpretato da Voight. Come per Paul America, l’hustler di Warhol, la prestanza fisica di Joe è accompagnata da un’ostentata ingenuità che lo porta a vivere in balia dei suoi clienti e adescatori. In Lonesome Cowboys ritroviamo l’aspetto parodistico del western (i ranch in cui viene ambientato sono gli stessi dei film di John Wayne), questi cowboys effeminati e promiscui mostrano un lato ambiguo della virilità del macho del west che Joe ignora e che rinnega solo nel finale del film levandosi di dosso il costume da rodeo.
Cecilia Cristiani

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IL GESTO DELLO SCATTO VENERDÌ 24 MARZO ORE 20.45
martedì 21 Marzo 2023, 11:02
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ROBERT DOISNEAU, LA LENTE DELLE MERAVIGLIE
Robert Doisneau, le révolté du merveilleux

di Clémentine Deroudille
con Clémentine Deroudille, Éric Caravaca, Sabine Azéma, Quentin Bajac, Jean-Claude Carrière, Philippe Delerm, Annette Doisneau, Robert Doisneau, Annick Geille, Monah H. Gettner

Francia 2016 83′

Troppe volte l’opera di Robert Doisneau, uno dei più grandi fotografi del XX secolo, è stata ridotta alla fotografia di “Le Baiser de l’Hôtel de Ville”. Un’immagine che ha conosciuto un destino fuori dal comune. Pubblicata senza rumore sulle pagine di “Life” nel 1950, è soltanto negli anni Ottanta che acquista valore di simbolo. Riprodotta un po’ dappertutto, regala a Doisneau gloria e fortuna e traduce lo spettacolare cambiamento di statuto di una fotografia: da immagine anonima sfogliata dentro un giornale a copia di artista ammirata al museo. Archetipo dell’istantanea, una causa giudiziaria rivela la messa in scena, i due amanti sono attori retribuiti. I francesi si indignano e dimenticano uno dei talenti di Doisneau: dare l’illusione dell’istantanea facendo posare i passanti in un décor urbano reale. Questo bacio ‘preconfezionato’ riassume velocemente e troppo male un’opera umanista, che figlie e nipoti sanno valorizzare e hanno valorizzato trasformando la residenza familiare di Montrouge in un incredibile archivio. 

In quella nutrita iconografia, Clémentine Deroudille, nipote del celebre artista, pesca a pieni mani e a cuore pieno, superando l’immagine riduttiva (“Le Baiser de l’Hôtel de Ville”) e vincendo i pregiudizi (lo sguardo di Doisneau è andato oltre Parigi e le banlieue). 

Robert Doisneau – La lente delle meraviglie è un ritratto intimo dell’uomo e all’artista. Una lettera d’amore che cerca le parole nelle fotografie inedite, negli home movie, nei video d’archivio e nelle conversazioni con gli amici e i complici di sempre. Da Daniel Pennac a Sabine Azéma, passando per Jean-Claude Carrière, Doisneau si dispiega: “curioso, disubbidiente e paziente come un pescatore con la lenza”. Flâneur del pavé che adorava le nostalgiche banlieue come le nuove architetture, aveva conosciuto la guerra e il fronte, aveva fatto la resistenza senza parlare ma scegliendo di portare uno sguardo di sensibilità sul mondo.
Robert Doisneau apparteneva alla categoria dei vagabondi, i vagabondi della fotografia che partecipano a una dimensione umana marginale senza paura di compromettersi con quella mondana. Doisneau firma con Blaise Cendrars, un libro sul petit peuple delle periferie (“Le Banlieue de Paris”), immortalando i poemi visuali della rue, e un contratto esclusivo di tre anni con “Vogue” fotografando l’attualità glamour dell’epoca, i ritratti di personalità, la moda e le cronache aristocratiche di Parigi.
Marzia Gandolfi, Mymovies

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Ruben Östlund, l’estetica della vulnerabilità umana VENERDI’ 17 MARZO 2023 ore 20.45
martedì 14 Marzo 2023, 21:00
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FORZA MAGGIORE
Force Majeure

di Ruben Östlund
con Johannes Kuhnke, Lisa Loven Kongsli, Clara Wettergren, Vincent Wettergren, Kristofer Hivju
Francia/Danimarca/Germania   2014  118′

Come in Play, il finale è la parte meno sicura e più stiracchiata dell’insieme, ma in generale Forza Maggiore è una graditissima conferma del talento di Ostlund e del suo cinema dell’assurdo sociale, intelligente e rivelatore. Le lunghe inquadrature a macchina fissa, marchio di fabbrica del regista e dichiarazione aperta di una poetica che aspira a mescolare ironia ed entomologia, si arricchiscono in quest’occasione della potenza evocativa che viene dal paesaggio, dal suo bianco destabilizzante e dalle profondità delle gole, in esterni, ma anche dall’architettura degli interni, tanto moderna quanto a suo modo alienante, e del commento musicale, pensato – non senza divertimento – come una sorta di “destino che bussa alla porta”. La trasferta della famiglia svedese nelle montagne francesi è anche l’occasione, per il regista, per guardarsi dall’esterno e criticare il mito della solidarietà scandinava di contro alla legge della giungla dell’individualismo, del dialogo come pratica consolidata di contro agli accessi d’ira o alle scenate d’isteria, e soprattutto del discorso di genere politicamente corretto, per cui le differenze tra uomini e donne sono diventate un argomento curiosamente tabù.
Come nel miglior cinema d’alta montagna, allora, il corpo e la psiche degli attori si muovono in silenziosa corrispondenza con la natura, libera e minacciosa, ma non si pensi ad un film drammatico, perché con Forza Maggiore si ride moltissimo. Come in una commedia degli equivoci, infatti, il virus che ha colpito Tomas e Ebba si diffonde rapidamente ad intaccare le certezze dei loro ospiti più giovani, modificandosi per adattarsi alle diverse condizioni della loro coppia ed esacerbare i loro specifici non detti. Colpito dai risultati di una serie di ricerche che osservavano un incremento dei divorzi nelle coppie sopravvissute ad un’esperienza fortemente drammatica (un dirottamento o uno tsunami, per esempio), Ostlund raccoglie la suggestione e la trasforma in cinema, innescando un parallelismo tra il percorso inarrestabile di un’emozione e quello del tutto simile di una slavina.
Basta questo breve resoconto dell’incipit del film per capire che siamo in presenza di un’ottima idea, che il regista svedese, già autore del notevole Play , sa sfruttare al meglio. Tomas e Ebba sono i genitori di Vera e Harry. Tomas lavora molto, dunque questa vacanza sulle Alpi, hotel di lusso e giornate dedicate allo scii tutti insieme, parte con grandi aspettative. Ma accade un imprevisto. Mentre siedono per pranzo ai tavoli all’aperto di un ristorante panoramico, una valanga si dirige a grande velocità verso di loro e pare destinata a travolgerli. L’istinto di Tomas è quello di mettersi in salvo il più in fretta possibile, l’istinto di Ebba è quello di proteggere i figli ed eventualmente morire con loro. La valanga si arresta prima e i quattro rientrano sani e salvi. Ma qualcosa nella coppia si è incrinato ed è una crepa che è destinata ad aprirsi sempre di più.
Marianna Cappi , Mymovies.it

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CINEMA BRASILIANO venerdì 10 marzo ore 20.45
lunedì 06 Marzo 2023, 11:16
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E’ ARRIVATA MIA FIGLIA!
Que Horas Ela Volta?
di Anna Muylaert
con Regina Casé, Michel Joelsas, Camila Márdila
Brasile 2015 114′

Dopo aver affidato la figlia Jessica alle cure e all’educazione di alcuni parenti nel nord del Brasile, Val trova un impiego a São Paulo come governante e svolge il suo lavoro con premura e attenzione. Tredici anni dopo, Jessica si presenta in visita e affronta sua madre criticandone l’atteggiamento succube e spiazzando tutti gli inquilini della casa con il suo comportamento imprevedibile.
La regia del film è di Anna Muylaert, acclamata regista e sceneggiatrice, oltre che critica cinematografica, e conosciuta soprattutto per l’eccentrico Durval Discos, e È proibido fumar, Miglior Film al Festival Internacional de Cinema de Brasilia e numerosi altri premi. Grazie a È arrivata mia figlia!’, la regista ha ottenuto un riconoscimento internazionale con il premio speciale della giuria al Sundance e il Gran premio del pubblico al Festival di Berlino. La pellicola affronta una tema molto sentito nella realtà brasiliana, un paradosso sociale risalente al periodo del colonialismo secondo il quale la società sia divisa in ordinamenti invalicabili. Un sistema tanto radicato da plasmare tutt’oggi l’architettura emotiva delle persone. Come racconta Anna Muylaertun, lo storia nasce dal bisogno di parlare di un problema reale ed è proprio per questo che se in un primo momento il progetto era stato pensato seguendo l’approccio di uno stile ricalcante la tradizione del realismo magico brasiliano, poi la regista ha optato per un strada più realistica. Riprendendo le sue parole, È arrivata mia figlia! può essere considerato un film sociale, ma non solo. Il suo approccio diretto “non intende né giudicare né esaltare i personaggi, vuole semplicemente mostrare la nuda verità”. La storia si articola come uno scontro generazionale di due donne, madre e figlia di umili origini, nate nel nordest del Paese. Protagonista è Val, interpretata da Regina Casé, una delle attrici brasiliane più conosciute in ambito teatrale, cinematografico e televisivo.
Angela Santomassimo, noteverticali.it

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