CINEMA BRASILIANO VENERDI’ 19 MAGGIO 2023 ORE 20.45
venerdì 12 Maggio 2023, 22:15
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LA VITA INVISIBILE DI EURIDICE GUSMAO
A Vida Invisível

di Karim Aïnouz
con Carol Duarte, Júlia Stockler, Gregório Duvivier, Barbara Santos, Flávia Gusmão
Brasile 2019 139′

In riva all’oceano due ragazze siedono una accanto all’altra senza guardarsi. Poi, in una foresta tropicale lussureggiante, attraversata da cascate di acqua cristallina, si perdono, si inseguono, si chiamano a gran voce, ma non riescono a trovarsi. Le prime sequenze del film La vita invisibile di Euridice Gusmao del regista brasiliano Karim Ainouz sono profetiche e si fanno metafora dell’appassionante storia: quella di due sorelle legate a doppio filo, e ciononostante separate dal destino (e soprattutto dalla grettezza degli uomini) in una Rio de Janeiro negli anni ’50 dove le donne sono soltanto l’ombra di padri e mariti. Non potrebbero essere più diverse. Euridice, splendido sorriso, corpo slanciato anche se dalle movenze un po’ goffe e impacciate, ha talento per il pianoforte e sogna soltanto di essere ammessa al Conservatorio di Vienna. Guida, maggiore di due anni, è meno bella, bassina, ma sprizza vitalità e sensualità, morde il freno, insegue a tutti i costi il grande amore e vuole staccarsi dal contesto famigliare conservatore e bigotto. La sua scelta di fuggire col marinaio greco Iorgos, per poi tornare in patria incinta e abbandonata, fa da trigger al dramma: il papà non la riconosce più come figlia, la caccia di casa e le fa credere che l’amatissima sorella si sia trasferita in Europa. Vivranno lontane e infelici: la prima rinuncerà alla musica per diventare moglie di un uomo ricco ma senza qualità, nonché madre amorevole, adeguandosi a quanto la società vuole per lei; l’altra si dedicherà al figlioletto “bastardo” e troverà la protezione dell’ex prostituta Filomena nei miseri bassifondi della città. Sino al ricongiungimento tardivo delle loro anime, se non nella realtà. Tratto dal romanzo di Martha Batalha, caso letterario in patria paragonabile al nostro L’amica geniale, il lavoro vincitore della sezione “Un Certain Regard” allo scorso Cannes, nelle sale da giovedì, ripercorre le strade del melodramma alla Douglas Kirk, attualizzandone però lo stile grazie a una capacità introspettiva potente, alla caratterizzazione dei personaggi, all’estetica raffinata, satura di colori e suoni. Se Ainouz non ha paura di spingere sul pedale della commozione e del sentimentalismo, la scelta di ricostruire la vicenda attraverso le lettere che Guida scrive ad Euridice, intercettate dal padre e mai recapitate alla destinataria, gli consente di mantenere la giusta distanza e di non cadere mai negli zuccherosi toni da telenovela. E in più la trama mélo è lo spunto per una critica sociale: dell’epoca, come si deduce dalla violenza delle scene di sesso matrimoniale, allora molto diffusa, e anche del presente del Paese con riferimenti non espliciti, ma intuibili, a Bolsonaro, che ha riaffermato i valori di una cultura tradizionale e maschilista. Due ore e venti che scorrono veloci e coinvolgenti, facendo scattare l’identificazione con le due giovani, i lori dolori, le loro continue frustrazioni, la mai perduta speranza di riincontrarsi. Qui tutto risulta naturale, spontaneo, sincero, soprattutto in virtù delle credibili interpretazioni di Carol Duarte-Euridice e Julia Stockler-Guida. E al cameo dell’attrice ormai novantenne Fernanda Montenegro (l’insegnante di Central do Brasil).
Paola Zonca, La Repubblica

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JOHN SCHLESINGER, UN REGISTA “DA MARCIAPIEDE” VENERDI’ 12 MAGGIO 2023 ORE 20.45
venerdì 05 Maggio 2023, 12:11
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DOMENICA, MALEDETTA DOMENICA
Sunday, Bloody Sunday
di John Schlesinger
con Peter Finch, Glenda Jackson, Murray Head, Bessie Love, Peggy Ashcroft
Gran Bretagna  1971 110′


Esisteva ancora la Twa. C’erano ancora i portasigarette e si fumava alla grande. Non c’erano i telefonini, ma in compenso funzionava un efficientissimo servizio di segreteria telefonica (nel caso in questione, con tanto di telefonista che sferruzza e spettegola durante il lavoro). Quegli anni – con la confusione sentimentale e sessuale, la crisi di cui si sente sempre parlare e che manda a casa senza lavoro i dirigenti cinquantenni, un misto di conformismo e di avventura – hanno qualcosa che parla ai nostri anni. Ma sono in realtà gli ultimi della swingïng London, raccontati in un film del 1971, Domenica maledetta domenica, piccolo grande capolavoro britannico di John Schlesinger che torna ora pubblicato da Teodora (eh sì, ancora loro).
Difficile oggi, all’epoca del gay pride e di esibizione delle proprie preferenze sessuali, immaginare lo shock, lo stupore, l’ammirazione liberatoria suscitati allora dal triangolo amoroso che il film ci racconta, e che incarna lo Zeitgeist sentimentale iu allora: Glenda Jackson, nei panni di una giovane divorziata, scontenta del suo lavoro e del suo status di borghese; Peter Finch è il medico omosessuale che le amiche vorrebbero vedere accoppiato con qualche brava ragazza ebrea come lui; Murray Head è il creatore di strane sculture, giovane, carinissimo e lungocrinito, che se la fa, prima senza che lo sappiano, poi con loro consapevoli, con tutti e due. Tra gelosie, certo, lacrime, furori e senso di privazione. La liberazione sessuale non annulla il dolore.
Scritto da Penelope Gilliatt (che di giovani arrabbiati se ne intende, visto che è stata la moglie di John Osborne), girato con mirabile senso dei luoghi e del tempo, il film di Schlesinger ci parla, ora come allora, della solitudine e delle maledette domeniche dei solitari. Ed è uno dei film che Pauline Kael elencava (e non si può darle torto) tra i frutti di una stagione magica del cinema, con II conformistaI compariL’ultimo spettacoloIl violinista sul tettoSoffio al cuoreIl giardino dei Finzi-ContiniCabaretIl padrino. Tutti arrivati sugli schermi americani fra il 1971 e il 1972.
Irene Bignardi, Il Venerdì di Repubblica

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IL GESTO DELLO SCATTO VENERDÌ 28 APRILE ORE 20.45
lunedì 24 Aprile 2023, 10:04
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ALLA RICERCA DI VIVIAN MAIER
Finding Vivian Maier
di John Maloof, Charlie Siskel
con John Maloof, Mary Ellen Mark, Phil Donahue, Vivian Maier

USA 2013 84′

John Maloof sapeva che “chi cerca, trova”, perché ha frequentato fin da piccolo i mercati delle pulci. Nel 2007, in procinto di scrivere un libro sulla storia del suo quartiere di Chicago, ha dunque acquistato all’asta una scatola piena di negativi non ancora sviluppati, sperando di trovare del materiale utile al suo scopo. Invece, ha trovato una delle più straordinarie collezioni fotografiche del XX secolo. Andando, qualche anno dopo, alla ricerca dell’identità del fotografo, una donna di nome Vivian Maier scomparsa nel 2009, Maloof ha scoperto anche una storia da romanzo: quella di una figura dall’immenso talento artistico, che ha preferito per tutta la vita mantenere il segreto sulla sua attività fotografica, preferendo fare la tata per i bambini delle famiglie bene di Chicago. 
E non finisce qui. Perché il vero tesoro trovato da John Maloof – giovane filmaker, fotografo, storico e ora probabilmente milionario – è un altro ancora, e si tratta di quello che, paradossalmente, non ha scoperto. Maloof, infatti, ha trovato un mistero. Un nucleo di interrogativi resistenti a qualsiasi certezza, che resterà per sempre legato al nome e all’opera di Vivian Maier e perpetuerà la storia e il suo fascino negli anni a venire. 
Gli autori del documentario, che sono lo stesso Maloof e Charlie Siskel (il produttore di Bowling a Columbine), decidendo di trasformare in un film la ricerca su Vivian Maier non hanno compiuto soltanto un’operazione commerciale, o proseguito la missione di divulgazione iniziata con l’esposizione delle fotografie, ma si sono posti in continuità con il lavoro della fotografa segreta, la quale ha condotto senza dubbio un’esistenza cinematografica e al cinema si era a sua volta avvicinata, girando migliaia di pellicole Super8 e 16mm e tentando persino la strada della narrazione in macchina (genere reportage di cronaca nera, condito di ironia). Cambiando nome, (tra)vestendosi con abiti fuori moda, inventando un accento francese, scegliendosi un lavoro “di copertura”, Vivian Maier ha infatti e senza dubbio recitato una parte, anche se il motivo di questo comportamento resta sconosciuto. Come se non bastasse, la tragedia privata (che non è difficile ipotizzare sulla base delle testimonianze raccolte) e i tratti di durezza e persino cattiveria attribuitele da chi l’ha conosciuta, fanno di lei un personaggio enorme, degno della penna di un grande sceneggiatore. 
Togliendola dall’oscurità e portandola alla luce, nel senso letterale del termine, con lo sviluppo del negativo e l’irradiazione della luce del proiettore, Maloof e Siskel l’avranno tradita o avranno compiuto la sua più recondita volontà? In questa vicenda piena di contraddizioni, sono sicuramente vere entrambe le cose. Una cosa, però, è più certa delle altre. In una delle sue tante registrazioni, si sente Vivian chiedere ad un bambino: “E ora dimmi, come si fa a vivere per sempre?” Ecco, adesso John Maloof le ha risposto.
di Marianna Cappi 

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Ruben Östlund, l’estetica della vulnerabilità umana VENERDI’ 14 APRILE 2023 ore 20.45
venerdì 14 Aprile 2023, 22:39
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THE SQUARE
di Ruben Östlund
con Claes Bang, Elisabeth Moss, Dominic West, Terry Notary, Christopher Læssø
Svezia/Danimarca/USA/Francia. 2017 142 


Palma d’Oro a Cannes 2017, nonché candidato 2018 all’Oscar nella cinquina dei migliori film stranieri, The Square non ha soddisfatto tutti: chi ne ha ammirato l’eleganza e l’acume; chi, invece, lo ha trovato intellettualistico e snob. In effetti il regista danese Ruben Ostlund non è tipo da far sconti al pubblico: il film è una specie di ufo, che si fa beffe dell’arte contemporanea, delle nostre società ‘civili’ e un po’ anche di chi lo guarda. Sotto, però, c’è un discorso morale (a tratti perfino moralistico) che interpella lo spettatore sul suo comportamento nel mondo globalizzato e nell’infosfera: sappiamo effettivamente comunicare come crediamo? Siamo davvero così aperti e democratici (per esempio verso gli immigrati) come pensa di sé Christian, che si rivelerà invece – più o meno inconsciamente – razzista? Attraverso di lui, personaggio senza empatia che respinge l’identificazione, incapace di guardare oltre sé stesso anche nelle relazioni amorose, il film ci obbliga a riflettere sull’egoismo generalizzato che modella le nostre vite.

(…) Diverse scene sono quasi una lezione di sociologia; e forse spiegano perché alcuni non lo abbiano apprezzato. A tratti The Square è un po’ troppo dimostrativo: come se, da una cattedra, volesse darci una lezione intorno al declino dell’Occidente, su cui Ostlund è pronto a giurare. (…) Man mano che procede, The Square diventa sempre più caustico, provocatorio e beffardo. E anche imprevedibile: il che non dovrebbe dispiacere a chi, in un film, ama trovare qualcosa d’inaspettato.”
Roberto Nepoti, La Repubblica

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John Schlesinger, un regista “da marciapiede” venerdì 14 aprile 2023 ore 20.45
lunedì 27 Marzo 2023, 11:17
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UN UOMO DA MARCIAPIEDE
Midnight Cowboy
di John Schlesinger
con Jon Voight, Brenda Vaccaro, Dustin Hoffman, Sylvia Miles, Bob Balaban, John McGiver 
USA 1969 113

Uno schermo bianco di un drive in, il suono di una battaglia in lontananza, lo scalpitio dei cavalli seguito da alcuni spari, l’eco di un film western rievocato dal movimento altalenante di un cavallo a dondolo. L’incipit di Midnight Cowboy, brutalmente tradotto in Un uomo da marciapiede, potrebbe anche essere uno dei numerosi flashback dell’infanzia di Joe Buck (Jon Voight), giovane aitante che sogna una New York accogliente e ricca di opportunità, tappa obbligata per dare una svolta alla propria vita lasciandosi alle spalle un deprimente futuro da lavapiatti.
Il protagonista del film di John Schlesinger indossati i panni di un vero cowboy, prende la valigia pezzata e sale sul pullman che lo condurrà verso la metropoli, quello del gigolò sembra essere un buon mestiere, immagina ricche donne sole e benestanti, ma l’abbigliamento folcloristico attrae soprattutto una clientela maschile. L’aria stravagante di Joe si nutre dei miti di John Wayne e Paul Newman, è quello spaccone, The Hustler del film, appeso a fianco dello specchio, a suggerirgli la camminata decisa e l’espressione audace.

Inizialmente le giornate newyorkesi non sembrano promettere cospicui guadagni, sguardi femminili freddi e poco incoraggianti costringono Joe ad affrontare la solitudine sintonizzandosi sulle frequenze dell’inseparabile radiolina portatile in cerca di voci amiche, un accompagnamento sonoro che ricorda le performance di John Cage e che lo distoglie da una realtà rivelatasi ben presto ostile e pericolosa.
L’incontro con Ratso, Enrico Salvatore Rizzo (Dustin Hoffman), un diverso hustler, il regista sembra giocare con i molteplici significati del termine, in pessime condizioni fisiche, diventa per Joe fonte di complicità e conforto. Entrambi vivono seguendo le proprie utopie, ma Ratso, ormai vinto dalla malattia, riversa le poche energie rimastegli pianificando una miracolosa guarigione sulle spiagge della Florida, la sua arrendevolezza viene contrastata da Joe che, nonostante le condizioni avverse, continua a vivere covando il sogno di una meritata autonomia.
L’incognita x sembra essere l’unico segno di distinzione per queste esistenze sull’orlo del precipizio; la x indica le finestre sprangate dell’edificio in cui trovano riparo ed è per Ratso una severa epigrafe immaginata sulla tomba del padre analfabeta, l’unica possibile firma e traccia che può lasciare un uomo ignorato dalla società che ha condotto una vita di stenti come la sua. La sola opportunità offerta dalla Grande Mela, sembra dire Schlesinger, sono i 15 minuti di celebrità warholiani, tutto si riduce nella grottesca comparsa televisiva di un cagnolino travestito e della sua padrona, voler apparire a tutti i costi risulta essere la via d’uscita dall’anonimato e Joe viene coinvolto suo malgrado proprio da Viva, un’icona della Factory, che dopo avergli scattato la rituale polaroid lo invita a un party; “Join us at the gates of hell”, riporta il volantino.
Midnight Cowboy è il primo film di Schlesinger realizzato in America; Andy Warhol entra nella vicenda non solo attraverso la presenza dei suoi collaboratori, Viva affiancata da Ultra Violet e Paul Morrissey, ma è la stessa scelta del soggetto ad essere influenzata da alcune pellicole del regista di My Hustler Lonesome Cowboys, sono questi i due titoli che meglio si riflettono nel ruolo interpretato da Voight. Come per Paul America, l’hustler di Warhol, la prestanza fisica di Joe è accompagnata da un’ostentata ingenuità che lo porta a vivere in balia dei suoi clienti e adescatori. In Lonesome Cowboys ritroviamo l’aspetto parodistico del western (i ranch in cui viene ambientato sono gli stessi dei film di John Wayne), questi cowboys effeminati e promiscui mostrano un lato ambiguo della virilità del macho del west che Joe ignora e che rinnega solo nel finale del film levandosi di dosso il costume da rodeo.
Cecilia Cristiani

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CINEMA BRASILIANO venerdì 10 marzo ore 20.45
lunedì 06 Marzo 2023, 11:16
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E’ ARRIVATA MIA FIGLIA!
Que Horas Ela Volta?
di Anna Muylaert
con Regina Casé, Michel Joelsas, Camila Márdila
Brasile 2015 114′

Dopo aver affidato la figlia Jessica alle cure e all’educazione di alcuni parenti nel nord del Brasile, Val trova un impiego a São Paulo come governante e svolge il suo lavoro con premura e attenzione. Tredici anni dopo, Jessica si presenta in visita e affronta sua madre criticandone l’atteggiamento succube e spiazzando tutti gli inquilini della casa con il suo comportamento imprevedibile.
La regia del film è di Anna Muylaert, acclamata regista e sceneggiatrice, oltre che critica cinematografica, e conosciuta soprattutto per l’eccentrico Durval Discos, e È proibido fumar, Miglior Film al Festival Internacional de Cinema de Brasilia e numerosi altri premi. Grazie a È arrivata mia figlia!’, la regista ha ottenuto un riconoscimento internazionale con il premio speciale della giuria al Sundance e il Gran premio del pubblico al Festival di Berlino. La pellicola affronta una tema molto sentito nella realtà brasiliana, un paradosso sociale risalente al periodo del colonialismo secondo il quale la società sia divisa in ordinamenti invalicabili. Un sistema tanto radicato da plasmare tutt’oggi l’architettura emotiva delle persone. Come racconta Anna Muylaertun, lo storia nasce dal bisogno di parlare di un problema reale ed è proprio per questo che se in un primo momento il progetto era stato pensato seguendo l’approccio di uno stile ricalcante la tradizione del realismo magico brasiliano, poi la regista ha optato per un strada più realistica. Riprendendo le sue parole, È arrivata mia figlia! può essere considerato un film sociale, ma non solo. Il suo approccio diretto “non intende né giudicare né esaltare i personaggi, vuole semplicemente mostrare la nuda verità”. La storia si articola come uno scontro generazionale di due donne, madre e figlia di umili origini, nate nel nordest del Paese. Protagonista è Val, interpretata da Regina Casé, una delle attrici brasiliane più conosciute in ambito teatrale, cinematografico e televisivo.
Angela Santomassimo, noteverticali.it

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