Grand Hotel – 14.03.2008
Grand Hotel USA 1932 113’
di: Edmund Goulding
con: Greta Garbo, John Barrymore, Joan Crawford, Lionel Barrymore, Lewis Stone, Wallace Berry
Gente che va, gente che viene in un grande albergo di Berlino dove sembra che non succeda mai niente. Succedono, invece, molte cose, comiche e drammatiche in intreccio fitto. Dal romanzo (1929) della viennese Vicki Baum una parata di star della M-G-M. Nel suo genere è un classico, sia pur leggermente appassito. I migliori della compagnia sono, forse, i due Barrymore. In un ruolo esiguo G. Garbo lascia il segno. Ebbe l’Oscar per il miglior film. Rifatto nel 1945 con la di di Robert Z. Leonard. Nella riedizione postbellica la voce di G. Garbo è di Anna Proclemer che sostituisce Tina Lattanzi, sua abituale doppiatrice negli anni ‘30.
Il Morandini 2005

Nightmare detective – 29.02.2008
Akumu tantei Giap. 2006 106’
di: Shinya Tsukamoto
con: Ryuhei Matsuda, Hitomi, Masanobu Ando, Shinya Tsukamoto
Keiko Kirishima è un’abile poliziotta appena trasferitasi nel reparto investigativo della polizia di Tokyo. Purtroppo il primo caso non è dei migliori: due casi di suicidio legati tra loro da un’ultima telefonata fatta dalle vittime allo stesso numero di telefono registrato con la lettera “O”. Keiko e il suo collega Wakamiya decidono di chiedere aiuto a un medium, e contattano così Kyolchi, conosciuto anche come “Nightmare detective” per la sua capacità di entrare nei sogni delle persone in procinto di morire. Quando anche Wakamiya muore in seguito alla telefonata fatta, per Keiko comincia un suo personalissimo incubo, che la porterà faccia a faccia con l’assassino… Troppo facile relegare il film di Tsukamoto tra i B-movie presenti nel panorama degli horror nipponici. “Akumu tantei” cerca di penetrare più a fondo nelle conoscenza dello spettatore indagando negli incubi dei suoi personaggi e in quelli della società moderna, troppo distratta nel traffico della vita di tutti i giorni per accorgersi dell’intima sofferenza del singolo individuo. Nella pellicola di Tsukamoto c’è la violenza, quella cruda e “pasticciata” vista in “Tetsuo”, ma anche la solitudine, del tutto metropolitana, di “Snake of June”, e in questi elementi tenta di trovare una via d’uscita, proprio come si cerca un’uscita da un incubo. Una di realizzata utilizzando una telecamera a mano e non una vera camera cinematografica, unita a una fotografia per lo più monocromatica, che alterna colori caldi e freddi con giusta misura semantica, nell’ambito della scena in cui si inserisce, rende il film un interessante esperimento onirico. Davvero efficace la colonna sonora: pregna di pezzi angoscianti dalle influenze punk-rock. Musica che aiuta non poco ad entrare nello spirito del film. Da ascoltare.
Diego Altobelli

Apri gli occhi – 15.02.2008
Abre los ojos Sp.-Fr.-It. 1997 117’
di: Alejandro Amenábar
con: Eduardo Noriega, Penélope Cruz, Chete Lera, Fele Martinez, Najwa Nimri, Gérard Barray
La vita spesso si svolge nel più completi automatismo come alzarsi, lavarsi la faccia, farsi la barba o truccarsi, guardarsi allo specchio e vedersi lievemente trasformati solo qualche ruga in più. L’immagine riflessa é più o meno sempre la stessa, un naso di varie misure due occhi dai diversi colori, una bocca sorridente o imbronciata a seconda della giornata che ci attende, ma ogni lineamento occupa la posizione standard. Di contorno pelle docile e morbida al tatto, tenue e liscia tanto da permettere alle dita di scorrervi sopra come due ruote su una strada appena asfaltata. Ma se un incidente avvenisse su quella strada? lmprovvisamente lo specchio rimanderebbe al destinatario sembianze trasformate: buche, balzelli, sobbalzi su quello che il viso fu, una liscia autostrada ora sfigurata. L’esistenza cambia, gli altri guardano solo per pochi istanti un volto dove gli occhi hanno perso di simmetria e la bocca si confonde con le guance. Si tratta di un film o di un incubo? Unici desideri: risvegliarsi o uscire da quella buia e orribile sala. Improvvisamente trasmigrare in una pellicola struggente, dove le lacrime sgorgano dai visi in maniera irregolare, dove la paura é quella di far paura e la pena e la commiserazione negli occhi del prossimo riportano senza pretese di emulazione a “The Elephant Man” di David Lynch. Nel film altre strane verità intervengono, sovrapponendosi continuamente e il dramma personale diventa una scusa per fuggire dalla realtà: lo spettatore come il protagonista non sanno più se quello che accade sia parte di un sogno o se sia una sorta di realtà virtuale comprata attraverso lnternet. Un’esistenza ricreata sul grande schermo della mente, oppure solo un incubo da cui ci si deve unicamente risvegliare? Nessuno lo sa ma senza dubbio il regista Alejandro Amenàbar, all’età di soli ventisei anni, è davvero abile a tenere lo spettartore teso e sbalordito utilizzando anche semplici e scontate soluzioni. non a caso la storia viene raccontata da un protagonista che ricorda a sprazzi ciò che è accaduto, inoltre è pieno di ansie e ha il terrore di essere l’oggetto di un complotto, come avviene in “The Game” di David Fincher. Oppure tutto quanto è solamente il parto di una fantasia distorta, stanca di una quotidianità gemella della routinaria abitudine (“Il tuo inferno te lo sei creato tu”)?.
Duel, Barbara Frigerio

Solaris – 01.02.2008
Solaris URSS 1971 165’
di: Andrej Tarkovskij
con: Natalja Bondarcuk, Donatas Banionis, Jurij Jarvet, Anatolij Solonicyn, Nikolaj Grin’ko, Vladimir Dvorzeckij
Uno psicosociologo arriva sulla stazione spaziale in orbita attorno al pianeta Solaris per indagare sui misteriosi fenomeni che vi avvengono e che coinvolgono gli scienziati a bordo: su Solaris c’è un oceano che pensa. Dal romanzo (1961) del polacco Stanislaw Lem, eminente fautore della problematica del dubbio nella fantascienza, il 3o film di A. Tarkovskij è un’avventura della coscienza più che della conoscenza, un’opera di fantacoscienza (C. Cosulich) in cui il cosmo corrisponde al subconscio umano: su Solaris gli astronauti sono alle prese con gli “ospiti” del proprio passato, proiezioni materializzate della loro memoria e del loro inconscio. Angoscioso, ossessivo nel suo ritmo lento, enigmatico, il film ha un potere ipnotico che inchioda lo spettatore allo schermo con immagini che non si erano mai viste nel cinema, di fantascienza e non.
Il Morandini 2005

l’ arte del sogno – 18.01.2008
La science des rêves Fr.-It. 2006 105’
di: Michel Gondry
con: Gael García Bernal, Charlotte Gainsbourg, Alain Chabat, Miou-Miou
Celebre per i suoi clip, che hanno sovvertito l’estetica del genere, nel 2004 il franco-newyorkese Michel Gondry ci sorprese con una commedia amara insolitamente creativa interpretata da Jim Carrey, “Se mi lasci ti cancello”. L’arte del sogno è il suo primo film girato in Francia e, per l’occasione, Gondry ha inteso non negarsi nulla. Ne ha fatto un po’ la summa del suo surrealismo postmoderno, viaggiando continuamente sul confine tra realtà e sogno e abbandonandosi a una moltitudine di piste in totale libertà. La traccia aneddotica è sottile. Stéphane Miroux giunge dal Messico a Parigi, dove la madre gli ha trovato lavoro come illustratore presso una fabbrica di calendari. Si scopre presto innamorato di Stéphanie, la vicina di pianerottolo con la quale condivide la dote della creatività. Però il giovane, troppo refrattario alla banalità del quotidiano, riesce a vivere solo attraverso i propri sogni. Troverà la chiave per farsi amare dalla vicina? È più che evidente che il regista ha proiettato nel personaggio la propria immaginazione di adulto regressivo, che reinterpreta il mondo attraverso uno spirito di eterno bambino. Così facendo, gli permette di volare tra nubi di cotone e di visitare luoghi inesplorati, ma lo condanna anche a un’inettitudine patologica all’amore e al mondo reale. Risultato bizzarro, affascinante, euforico e melanconico insieme. Con le scenografie è stata allestita una mostra, a New York e a Milano.
la Repubblica, Roberto Nepoti
